Raphael Azcona: Io, Ferreri e la donna scimmia

Intervista a Raphael Azcona di Tatti Sanguineti, luglio 2001.

Chi era Marco Ferreri per te?
Con lui ho conosciuto il cinema e anche la censura...
Al suo arrivo in Spagna - nel 1955/1956 - non andavo molto al cinema, non mi piaceva.
Avevo visto a malapena tre film. Il primo, con mia mamma, fu Il segno della croce. Ero molto piccolo e non mi divertì affatto. Il secondo lo vidi con mio padre. Era un appassionato di corrida e mi portò a vedere un film messicano assurdo in cui il protagonista era un torero con i baffi. Tutto ciò mi sembrò molto inverosimile visto che i toreri, solitamente, non li portavano! (i baffi)
La terza volta, per concludere, ero già un uomo. Seguendo una ragazza, mi ritrovai in una sala in cui proiettavano Casablanca.
All'inizio pensavo che Ferreri mi prendesse in giro. Mi raccontava della sua amicizia con Visconti, Fellini, Antonioni. In Italia, poi, conobbi sul serio Antonioni - che amava moltissimo Marco – e andai spesso a pranzo da Fellini...

Com'è nata la vostra collaborazione e in particolare il progetto di  La donna scimmia?
Ferreri mi contattò subito, appena arrivato in Spagna. Il mio libro I morti non si toccano, bambino! era stato pubblicato da poco e lui voleva trarne un film. Presentammo il progetto, ma la censura lo bocciò ritenendolo di cattivo gusto. Assurdo.
Iniziammo, dunque, a scriverne un altro che potesse andar giù - perlomeno - ai censori. Ma anche il romantico Un posticino per amarci ricevette lo stesso trattamento.
L'ispirazione per La donna scimmia ci venne a Toledo. Nel noto Hospital de Taver - vecchio e ormai fuori uso - ci accorgemmo di un dipinto raffigurante una sorta di "Sacra famiglia".
C'erano il padre, il bambino e la madre intenta ad allattarlo. Questa sfoggiava, però, una lunga barba...
Qualche tempo dopo seppi la storia di quella ragazzina spagnola - credo l'abbiano fatta Santa - che, invocando la Vergine perché la proteggesse da un gruppo di malintenzionati, venne ricoperta da una fitta peluria che riuscì a salvarla. Ciò che la leggenda non raccontava era però il seguito della vicenda. Se, scampato il pericolo, la ragazza fosse rimasta pelosa o meno.
Da qui prese, dunque, le mosse il nostro film. Un uomo trova una donna pelosa e all'inizio si comporta come una specie di protettore, ma poi smette di sfruttarla. Fra di loro inizia questa strana relazione fatta anche di tenerezza, pietà, e altre cose.
Tentammo di realizzarlo in Spagna, ma ci fu impossibile trovare un produttore.
Ecco perché, pur avendoci imposto un finale alternativo, credo che Carlo Ponti meriti di essere ricordato almeno per il coraggio (di fare un film che nessuno voleva fare).

Raccontaci la storia dei finali del film...
Bé, a dire il vero non ricordo esattamente quanti finali ci siano stati.
Per noi, ovviamente, l’epilogo della storia è sempre stato chiarissimo.                .
Sono convinto - e anche Marco lo era - che la letteratura e il cinema siano dogmatiche per natura. Chi scrive un romanzo o fa un film, vuole sempre dimostrare qualcosa. Per cui, se in un film tagliano gli ultimi 50 metri, il lavoro non ha più senso, non serve più a nulla.
Quegli ultimi 50 metri sono il risultato di tutto ciò che viene prima. E ciò che viene prima è fatto per dimostrare che la storia è innanzitutto verosimile, forse fatale, a volte ineluttabile.
Insomma il finale non arriva mai per caso.
Per farla breve, ritenevamo necessario che la coppia (Maria e Antonio Focaccia) mettesse al mondo un figlio. Quel che più ci interessava era osservare la reazione di Antonio all’improvvisa distruzione del proprio nucleo familiare. Privato di moglie e figlio, ci sembrava evidente che il personaggio di Tognazzi non potesse andare avanti da solo. L'unico modo per sopravvivere - sia a livello materiale sia spirituale - era, dunque, continuare a raccontare la sua storia ai due esseri impagliati.
Il finale descritto a Ponti era, più o meno questo, ma senza immagini, forse non gli era sembrato poi così duro. Quando mi chiamò per lamentarsi, rimasi davvero sorpreso.
Ricordo che mi disse qualcosa del tipo: "Ho avuto una grande fiducia in Marco Ferreri, perché mi piace il suo cinema, e perché è un milanese... e invece no, è un romano, un romanaccio..."
Insomma, non era né arrabbiato, né tanto meno offeso. A quanto pare era solo deluso.
Ferreri, dal canto suo, si ostinava a rifiutare qualunque altro finale. E se non fosse per 'quell'arte del compromesso' che vige da sempre in Italia, non so proprio come Ponti avrebbe fatto a convincerlo.
Probabilmente l'avrà fatto per la Girardot... Non saprei. Un film del genere, per un'attrice è, sicuramente, un gesto eroico. Soprattutto per chi - come Annie – è sempre stata considerata una bellissima donna, oltre che un’attrice straordinaria.                                                                      .
Ad essere sinceri, però, non mi è mai capitato di vedere la versione italiana del film.
In compenso - in televisione - ho visto un'altra edizione ancora. (Mi riferisco a) Quella con il finale in cui una bellissima donna e il suo bambino incontrano Tognazzi al porto. Secondo chi ha curato questa versione, infatti, alla fine della vicenda Antonio sveste i panni dell’avventuriero, sfruttatore per indossare quelli dell’onesto lavoratore. L’ho trovato blasfemo. Non mi è piaciuto affatto.                           

Il film sembra girato in un clima di libertà totale? Sei mai stato sul set?
Di solito non partecipo alle riprese dei film che scrivo. Lo sceneggiatore si sente sempre un alieno su un set cinematografico. Un intruso. I registi hanno sempre una specie di cordone di sicurezza che li protegge. Non vogliono mai essere disturbati .
Con Ferreri, ovviamente, era diverso. Andavo spesso sul set dei suoi film.

Perché avete girato a Napoli?
Molto semplice. L'autore del dipinto di Toledo era uno spagnolo noto in Italia come "lo Spagnoletto", per via della statura. Si era sposato a Napoli con una donna del posto, e ne aveva ottenuto la cittadinanza. La scelta della location ci sembrava, dunque, adatta oltre che coerente.                                                                    

Nello sviluppo del plot di La donna scimmia c'è una cosa impensabile, il problema dell'aborto terapeutico...
Sviluppando la storia, abbiamo cercato di toccare il maggior numero di problematiche possibili.
La Chiesa e il 'Genio della specie', innanzitutto. La verità, in fondo, è che noi siamo solo degli spermatozoi. Alla natura non importa nulla dei miei sentimenti, desidera solo che io fecondi qualcuno, tutto là.
Discutendo di spermatozoi, una volta, un censore spagnolo - particolarmente ignorante - mi disse che dopo Franco erano arrivate la libertà e la democrazia.
Quando gli chiesi cosa ne pensasse della propria professione, mi rispose che quel lavoro aveva portato molti vantaggi alla Spagna. Durante una discussione mi confessò: “Guarda che una volta in un copione ho letto la parola 'spermatozoo', e sono andato al dizionario per vedere cosa era e lo sai cos'era? Il 'seme'!".
Uno che ti dice questo e ha in mano il potere di tagliare, può arrivare a tutto.
E per quel che mi chiedi riguardo l'aborto, direi che con Ferreri volevamo fare tutto con un certo rigore e impegno. Non era nostra intenzione far ridere e basta.
Ci siamo chiesti: "Cosa succede quando una donna partorisce? Cosa si trasmette per eredità?"

Che rapporto corporale aveva Marco con la censura? Gli faceva venire il mal di pancia o gli faceva girare la testa?
Si arrabbiava moltissimo. Ma alla fine riusciva, comunque, ad andare fino in fondo.
Ai tempi de L'ape regina - primo lavoro girato in Italia - mi chiese di recarmi alla prima del film.
Con lui c'erano l'amico Alfonso Sansoni e l'avvocato Mattia - napoletano meraviglioso. Aveva il mal di pancia, di piedi, di testa, di tutto. Ma quello sì che fu un boccone amaro da mandar giù. Ovviamente, anche in quell’occasione riuscì a risolvere le cose – come al solito - con una grande energia.
Marco era un uomo di una forza d’animo fuori dal comune e di una generosità tipica del suo tempo.

I tagli di L'ape regina sono due: il prete che benedice il letto degli sposi, poi una vecchia che offre al prete un piatto di tagliatelle. La benedizione del letto, te la ricordi?
Il film era stato scritto con Massimo Franciosa e Pasquale Festa Campanile, ma la benedizione del letto era stata un'idea di Diego Fabbri, autorità del mondo intellettuale cattolico.
Diego era molto simpatico. Mi confessò che i soldi che guadagnava con meno sforzo erano quelli che riceveva dal Vaticano per revisionare le sceneggiature americane.
Per non offendere né arabi, né ebrei, né cattolici, gli americani mandavano le sceneggiature a tutte le religioni del mondo per vedere se c'erano problemi…

Parlaci della censura in Spagna...
La censura è sempre reazionaria. Contro i costumi e tutto il resto. Per me la si può tranquillamente definire un 'peccato'. Una mancanza di rispetto verso l'arte, certo, ma verso l'intelligenza in primis.  Esempio e paradigma di cos’è realmente la censura, lo si può trovare in un bell’aneddoto piuttosto noto in Spagna. Con el viento solano, film che Mario Camus trasse dal romanzo di un grande romanziere spagnolo [Ignacio Aldecoa], mostra la Guardia Civile - un corpo militare come i vostri carabinieri - intenta a correre dietro a un delinquente. Secondo la sceneggiatura originale, la guardia civile spara e non lo colpisce. L’accusa del censore spagnolo fu categorica: "Quando la guardia civile spara fa sempre centro..."