Famiglia

La censura e la famiglia

Al termine della seconda guerra mondiale, la rappresentazione della famiglia sugli schermi francesi è relativamente controllata. Ciò accade dopo la caduta del governo di Vichy, che considerava i valori del lavoro, della famiglia e della patria come il cemento nazionale della Francia. In questo senso, nella nuova costituzione politica la censura non può riprendere quei divieti in materia di adulterio e divorzio che avevano caratterizzato la linea di Vichy durante l'occupazione tedesca.

In Italia, invece, la situazione è leggermente diversa. Nel 1947 l'Assemblea decide di mantenere in vigore il Codice della censura fascista. Questa, per volontà di Mussolini e per la prima volta in Italia, aveva instaurato la cosiddetta "autorizzazione preventiva" nel 1939. In un secondo periodo, la Democrazia Cristiana, appoggiata generalmente dalla Chiesa e dalle sue organizzazioni, cerca di imporre il suo potere contro i partiti di sinistra, soprattutto contro la sinistra comunista. Sono elementi che evidenziano come nel cinema italiano la tolleranza verso le situazioni non conformi alla rappresentazione tradizionale della famiglia sia da sempre poca.

I personaggi del cinema francese dell'epoca sono artisti, uomini di lettere e di cultura. La censura francese è l'immagine di questa tendenza.

Nell'Italia del dopo guerra, invece, i professionisti del cinema spesso non hanno aspirazioni intellettuali, e i suoi responsabili politici non sono particolarmente sensibili al carattere artistico di questo mezzo d'espressione. In misura maggiore che in Francia, la censura italiana dello Stato è spesso in stretta collaborazione con la censura episcopale, e rimane per lungo tempo di carattere puramente politico-ideologico. In Francia, invece, molti film sono adattamenti letterari e i relativi autori godono di quell'aura artistica che permette loro di opporsi vigorosamente ai censori, se necessario.

I casi seguenti, di Claude Autant-Lara e di Max Ophüls, di cui proponiamo delle informazioni supplementari in forma di schede generali e tecniche, illustrano questa situazione.

 

Il caso di Diable au corps

Claude Autant-Lara realizza l'adattamento del libro di Raymond Radiguet Le diable au corps. Lo stesso produttore della pellicola ha da ridire in merito alla prima sceneggiatura presentata: "Nessuna censura al mondo lascerà passare quelle scene". Jan Aurenche, Pierre Bost e Claude Autant-Lara forniscono allora una sceneggiatura dove le scene d'armistizio sono accorciate, ed è stata eliminata quella dove François legge a Marthe il brano del "dormeur du val" (dormitore della valle) su di un battello. In Francia, il 21 maggio 1947, la commissione di censura proibisce il film ai minori di sedici anni. Il ministro decide non di seguire il parere della censura e autorizza il film a qualsiasi pubblico, a condizione che sia inserito nei titoli un cartoncino che spieghi che la storia rispecchia i sentimenti di soltanto alcuni dei giovani francesi che hanno vissuto gli anni della guerra del 1914-1918.

Dal punto di vista della censura italiana, i sentimenti che un ragazzo prova per una donna già sposata vanno proscritti e le scene che li manifestano sono da tagliare. Del resto, i moralisti non sono i soli a lagnarsi: anche i veterani della prima guerra mondiale protestano con forza perché nella trama il marito che si batte al fronte è tradito dalla moglie. In Italia, tali critiche sembrano pesare di più sulle decisioni della censura quando riguardano una rappresentazione atipica della famiglia tradizionale (e anche della violenza, si veda la sezione sul cinema e la violenza). Anche nel caso francese si ha un divieto formale da parte del Msg. Martin "a tutti i fedeli della diocesi di andare vedere il film di Claude Autant-Lara in qualunque cinema".

 

Il caso di Max Ophüls

All'inizio degli anni Cinquanta, Max Ophüls realizza due film, poco dopo la riforma del controllo cinematografico che conduce all'integrazione di un rappresentante delle associazioni familiari nell'istituto censorio francese. Il primo, La ronde (Il piacere e l'amore, 1950), si scontra con gli ostacoli della censura italiana.

Essa sostiene che il film contenga "delle scene che offendono il buon costume". Inoltrata nel giugno del 1954, la domanda d'autorizzazione del film in Italia sarà accordata soltanto nell'ottobre del 1958, con il divieto ai minori di 16 anni (in occasione di una settima revisione, questa volta presso la Commissione di revisione cinematografica di secondo grado).

Molte scene sono tagliate o cambiate e alcuni dialoghi sono riscritti (raggiungendo una riduzione di 385 metri dai 2600 metri della versione originale). Si tratta per la maggior parte di scene e dialoghi giudicati troppo passionali o provocanti. Le difficoltà con la censura italiana si verificano nonostante il film abbia vinto il premio per la migliore sceneggiatura e la migliore scenografia alla Biennale di Venezia del 1950.

Il secondo, Le Plaisir (Il piacere, 1952), attira l'attenzione dell'organizzazione cattolica Cartel d'action morale che manda una protesta alla censura francese prima dell'inizio delle riprese. Adattamento di alcune novelle di Guy de Maupassant, la sceneggiatura è rivista dalla Commissione per una censura preliminare:

"Questa sceneggiatura, mi è parso alla lettura, colpisce meno di quanto lasciasse supporre la lettera del Cartel d'action morale. È salace e licenziosa, ma mai grossolana, né oscena, e, occorre riconoscerlo, abbastanza tipicamente francese come genere. In queste condizioni, «la battuta d'arresto» alla maestria di Max Ophüls mi sembra inadeguata. Informiamolo soltanto che il suo film sarà certamente vietato ai minori raccomandandogli, se non vuole esporsi maggiormente, di trattare con leggerezza le scene scabrose".

In conclusione, la censura francese tradizionalmente accetta la rappresentazione della famiglia al cinema, raccomandando destrezza e tatto nel trattamento di alcune scene. Può però restringere lo sfruttamento del film vietandolo ai più giovani. In Italia, invece, le scene che sollevano problemi vengono in genere tagliate.

 

Bibliografia

Jean-Luc Douin, Dictionnaire de la censure au cinèma, PUF, Parigi, 1998.