3.5 Non solo tagli: la traduzione

La censura non aveva a disposizione solo tagli e divieti per ottenere i propri scopi, ma poteva intervenire in vari modi nella traduzione delle edizioni italiane dei film stranieri: richiedendo di rimuovere o modificare passi del doppiaggio o parti delle didascalie (per i film non doppiati ma "sonorizzati": 2.3 "Togliere ogni scena parlata in lingua straniera"), oppure, in maniera più vistosa, intervenendo addirittura sul titolo italiano.

Abbiamo già incontrato esempi di modifiche alle didascalie o al doppiaggio: "moglie" che diventa "fidanzata" (3.1 L'offesa al pudore), oppure "corporazione" cambiato in "associazione" (3.3 Censura politica). Un altro caso di questo genere si trova nel citato Il mistero del varietà (Murder at the Vanities, 1934): per tutelare l'immagine delle forze dell'ordine, la figura di un agente di polizia interpretata da Victor McLaglen, dal comportamento evidentemente non integerrimo, venne "trasformata in detective privato".

L'italianità

Questa modalità d'intervento si prestava però particolarmente bene per soddisfare un'altra esigenza molto sentita dal fascismo: la difesa o l'esaltazione del valore della italianità, o in altre parole del "decoro nazionale" (4.2 Gangster italiani). Era infatti relativamente semplice modificare le credenziali di determinati personaggi (cambiandone ad esempio la nazionalità) intervenendo principalmente sul doppiaggio. Tanto che la censura fece di questa prassi un uso anche spregiudicato, senza curarsi troppo degli effetti talvolta grotteschi sulla credibilità dell'insieme o di singole situazioni narrative.

Un caso nella norma è quello di La contessina si diverte (Baby, 1934), di Pierre Billon e Carl Lamac, modificato nella frase: "«È già una fortuna che non le abbiate dato una governante calabrese» sostituendo alla parola «calabrese» la dicitura del copione: «marsigliese»". Clamorosi, invece, altri esempi, ricordati da studiosi quali Mino Argentieri, Claudio Carabba e Gian Piero Brunetta. Il più famoso e citato è forse quello di The Adventures of Marco Polo di Archie Mayo (1938, in Italia nel 1939): poiché il Marco Polo interpretato da Gary Cooper non appariva abbastanza eroico per essere italiano, la censura pensò di modificarne la nazionalità addirittura a partire dal titolo, che divenne l'altamente improbabile Uno scozzese alla corte del Gran Khan (opportunamente rititolato Le avventure di Marco Polo nell'edizione del 1951).

La prassi di cambiare la nazionalità a personaggi italiani "sgraditi", tuttavia, resisterà ben oltre il fascismo, utilizzata dalla censura come dai distributori. Basti ricordare il protagonista della commedia nera britannica Sangue blu (Kind Hearts and Coronets, 1949, ma uscito nel 1951), che uccide otto suoi parenti al fine di ottenere il titolo di Duca: in originale il suo cognome era Mazzini, il doppiaggio italiano lo fa diventare Martinez.

A chi la libertà?

Un altro caso celebre di titolo modificato dalla censura è il citato À nous la liberté di René Clair, presentato nel 1932 alla Mostra del Cinema di Venezia e inizialmente distribuito col titolo A noi la libertà: allarmata dagli applausi "troppo" calorosi ricevuti alla prima al cinema Corso a Roma, la censura ne impose la trasformazione nel più innocuo A me la libertà, per attenuare la carica di critica sociale che si riscontrava nel film. Per motivazioni simili, persino la collocazione geografica delle ambientazioni poteva cambiare: per sfumare l'antinazismo dell'hitchcockiano Il club dei 39 (The 39 Steps, 1936), l'ambientazione scozzese venne "decentrata negli Stati Uniti al confine col Canada, con effetti di ‘spaesamento' per lo spettatore di un surrealismo assoluto (il piano visivo con i castelli scozzesi e tutti gli stereotipi di pecore, gonnellini ecc., quello sonoro che identifica i luoghi come canadesi o statunitensi)". Oppure, più semplicemente, nella produzione tedesca con Brigitte Helm Spionaggio eroico (Im Geheimdienst, 1931) si potevano "eliminare" due personaggi russi facendo "risultare dalle didascalie che la spia russa ed il meccanico Sokalut sono di nazionalità tedesca".

La censura "invisibile"

Simili "intrusioni" censorie nella traduzione dei film stranieri possono non risultare dai visti censura, come nel caso citato di Il club dei 39: ciò è dovuto anche al controllo diretto che l'apparato censorio poteva esercitare sugli studi di doppiaggio (specie a partire dal 1934, con la creazione della Direzione generale della cinematografia), che si risolveva spesso nella prassi di "suggerire" le modifiche da inserire nel doppiaggio (2.6 La soluzione: nascita del doppiaggio in Italia).

Questa facilità di intervento, a vari livelli, sulle edizioni italiane sembra dunque introdurre una modalità di censura sottile, quasi "invisibile" in quanto talvolta molto difficile da individuare, a parte i casi più evidenti e clamorosi come quelli sopra riportati. Alla base di questo genere di modifiche c'era spesso l'esigenza di adattare certe situazioni presenti nei film stranieri ai modelli culturali autarchici, e bastava l'inserimento di una sola parola in un dialogo per ottenere effetti a dir poco bizzarri. È il caso di La prateria in fiamme (Battling with Buffalo Bill, di Ray Taylor), uno dei tanti western a basso costo interpretati dall'attore Tom Tyler: "Giacomo Debenedetti, che ne cura per la Cines-Pittaluga l'adattamento italiano, è costretto nel 1933 a scrivere una battuta del genere: «Camerati! Il giovane Dave Archer ha offerto il suo oro per comprare le macchine»".

Un altro esempio notevole di intervento censorio sul doppiaggio che non risulta dal visto censura è offerto da un "classico" del cinema avventuroso hollywoodiano con Errol Flynn, La leggenda di Robin Hood (The Adventures of Robin Hood, 1938), di Curtiz e Keighley, che nell'edizione italiana venne modificato in alcuni dialoghi per sfumare i riferimenti al fatto che i briganti fossero benvoluti dal popolo oppure certe connotazioni negative del personaggio del vescovo (interpretato da Montagu Love). Con un uso accorto del doppiaggio, o per meglio dire con una sua accorta manipolazione, era possibile cambiare il significato di intere sequenze: un aspetto, questo, che sarà tenuto in gran considerazione anche dalla censura repubblicana.

 

Bibliografia

Mino Argentieri, La censura nel cinema italiano, Editori Riuniti, Roma, 1974

Claudio Carabba, Il cinema del ventennio nero, Vallecchi, Firenze, 1974

Jean A. Gili, Stato fascista e cinematografia - Repressione e promozione, Bulzoni, Roma, 1981

Gian Piero Brunetta, Il cinema italiano di regime - Da "La canzone dell'amore" a "Ossessione", Laterza, Bari, 2009

 

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