4.1 Vampiri, scheletri, torture: l’horror, e non solo

La rivoluzione del sonoro favorì anche, all'inizio degli anni '30, l'avvio della grande stagione del cinema dell'orrore. Lo strepitoso successo dei film della Universal sancì la nascita ufficiale di questo genere, la cui fortuna commerciale fu subito sfruttata anche dalle altre case hollywoodiane. L'Italia, tuttavia, fu appena sfiorata dalla "moda" dell'horror cinematografico: ben poche di queste pellicole arrivarono sui nostri schermi.

Da un lato l'assenza di un retroterra culturale adeguato (la cultura gotica e fantastica aveva sempre avuto un ruolo marginale rispetto ad altri Paesi), dall'altro la situazione di crisi economica mondiale, figlia della Grande Depressione, rendevano preferibile importare film d'evasione più innocui e leggeri: per queste ragioni, gli horror americani erano difficilmente ricevibili dal pubblico italiano dell'epoca, se non in modo ritardato e molto graduale.

In un simile contesto, la censura italiana non favorì certamente l'arrivo di mostri e vampiri d'oltreoceano, come nell'epoca del muto non aveva certo accolto a braccia aperte le ombre dell'Espressionismo tedesco o i criminali dei serial di Louis Feuillade. Vediamo perché, attraverso l'analisi di alcuni casi celebri di film "invisibili" sugli schermi italiani. Lungometraggi dell'orrore, ma non solo: la severità della censura verso gli argomenti tenebrosi e inquietanti, non maggiore di quella di altri Paesi europei (la Gran Bretagna, per esempio) ma comunque rilevante, si esprimeva persino nei confronti degli allora pioneristici cortometraggi animati.

The Skeleton Dance (La danza degli scheletri, Usa 1929)

R.: Walt Disney. P.: Walt Disney

Grande classico del cinema di animazione, diretto da Walt Disney e animato da Ub Iwerks, è il primo titolo della famosa serie di cortometraggi animati, le Silly Symphonies, che Disney produsse tra il 1929 e il 1939 per cercare nuove strade rispetto alla serie coeva, di grande successo, di Topolino (Mickey Mouse). Gli scheletri escono dalle tombe e improvvisano una danza al chiaro di luna, tra pipistrelli, gufi e gatti neri, sulle note della "Marcia dei nani" di Edvard Grieg: la spiazzante ambientazione gotica di questo corto di 6 minuti in bianco e nero, fonte d'ispirazione per il re degli effetti speciali in stop-motion Ray Harryhausen e omaggiato da Tim Burton in La sposa cadavere (2005), dovette impressionare non poco la censura di Paesi come Regno Unito e Svezia, dove fu addirittura proibito.

In Italia non arrivò, al contrario della maggior parte delle altre Silly Symphonies, tra cui quella di argomento horror La caverna dei diavoli (Hell's Bells, 1930): dalla banca dati di Italia Taglia si può risalire ai titoli italiani, molti fino ad ora sconosciuti, con le quali vennero distribuite. The Skeleton Dance fu visibile in Italia, e non in forma integrale, soltanto nel 1979 all'interno di un'antologia realizzata in occasione dei 50 anni di Topolino.

La censura e i cortometraggi animati

Se The Skeleton Dance non fu proibito, ma solo inedito, di sicuro però la censura italiana (come accennato a proposito dei tagli alle scene in cui comparivano cadaveri) richiedeva sistematicamente la rimozione di elementi come scheletri e teschi, ritenuti troppo spaventosi per il pubblico (non solo) infantile. In Tommy e Jerry nel castello degli spiriti (1932), fece sopprimere "le scene macabre degli scheletri"; in Trader Mickey (1932), con Topolino, "le scene del ballo sui teschi"; in Pirata Gamba di Legno (1933) "le scene degli scheletri che parlano", e in Partita di golf (1933) "l'ultima parte da quando ha inizio la danza con gli scheletri". Infine, Topolino e gli spettri (Haunted House, 1929), che riciclava spezzoni originariamente pensati per The Skeleton Dance, nel 1930 fu coerentemente vietato ai minori di 16 anni, cosa che oggi può apparire paradossale, trattandosi di un cartone animato.

Dracula (id., Usa 1931)

R.: Tod Browning (e Karl Freund). P.: Universal. Int.: Bela Lugosi, Helen Chandler, Dwight Frye, Edward Van Sloan

Per quanto possa sembrare incredibile, per un film ormai entrato nell'immaginario collettivo, il celebre Dracula con Bela Lugosi, prima trasposizione ufficiale per il cinema del romanzo di Bram Stoker, in Italia non fu distribuito. Più che di censura di mercato, visto il suo trionfo commerciale che aprì la strada al proliferare dei "mostri" della Universal e fece decollare l'intero genere horror, in questo caso è forse più opportuno parlare di censura culturale.

Il pubblico italiano non era certamente pronto per assistere a spettacoli di questo tipo, e c'è da scommettere che i primi minuti di Dracula, con le inquadrature delle bare piene di scheletri, topi e insetti e dalle quali escono le "spose" del vampiro, sarebbero bastati da soli a suscitare la forte perplessità dei censori (per non parlare dell'erotismo per l'epoca evidente nel rapporto tra Dracula e le sue vittime) e a far inorridire gli spettatori.

Del resto, la figura del vampiro sugli schermi italiani era ancora assai poco conosciuta: Nosferatu (1922) di F.W. Murnau non era stato distribuito, e uguale sorte avrà Vampyr (1932), primo film sonoro di Carl Theodor Dreyer, senz'altro ritenuto ostico e dallo scarso appeal commerciale come dimostrò del resto il suo insuccesso ai botteghini. Nell'edizione italiana per la messa in onda televisiva ad opera della RAI, il Dracula di Lugosi era doppiato da Elio Pandolfi; il film è stato edito per la prima volta in vhs nel 1994 da Pantmedia e da Mondadori.

La maschera di Fu Manchu (The Mask of Fu Manchu, Usa 1932)

R.: Charles Brabin (e Charles Vidor). P.: MGM. Int.: Boris Karloff, Lewis Stone, Myrna Loy

"Invisibile", forse vietato, rimase anche La maschera di Fu Manchu, produzione MGM con Boris Karloff nella migliore personificazione sullo schermo del personaggio inventato da Sax Rohmer. Notevole successo di pubblico in patria, il film allarmò le censure di molti Paesi per la sua potente evocazione del "pericolo giallo" e venne accusato di immoralità per il sadismo delle sue ingegnose scene di tortura, perpetrate sui prigionieri anche dalla sensuale e spietata figlia di Fu Manchu (Myrna Loy). Furono invece importati in Italia i più innocui Il drago rosso (The Mysterious Dr. Fu Manchu, 1930) e La figlia di Fu Manchu (Daughter of the Dragon, 1933).

La censura e l'horror

Per farsi un'idea dell'atteggiamento della censura italiana verso le pellicole con elementi fantastici o macabri, fin dal periodo del muto, basta citare le vere e proprie vicissitudini censorie subite da film quali Le mani di Orlac (Orlacs Hände, 1925), di Robert Wiene con Conrad Veidt, il serial tedesco Lucifero (1926) o il precursore dei mostri Universal Il Fantasma dell'Opera (The Phantom of the Opera, 1925), con Lon Chaney. Una ragione in più perché gli horror statunitensi degli anni '30 non potessero arrivare che con il contagocce agli spettatori italiani dell'epoca (La mummia, La maschera di cera e Il dottor Miracolo tra i pochi ad uscire senza particolari problemi).

Tra quelli prodotti dalla Universal, Frankenstein (id., 1931) e La moglie di Frankenstein (Bride of Frankenstein, 1935), entrambi di James Whale e con Karloff, uscirono con notevole ritardo, rispettivamente nel 1935 (nonostante nel 1932 avesse partecipato alla prima edizione della Mostra del Cinema di Venezia) e nel 1939: a questo proposito, tra le varie recensioni che sull'Osservatore Romano elogiavano i film di propaganda militare fascista e nazista, una deplorava come una nazione potesse "nel contempo permettere la circolazione di pellicole tipo La moglie di Frankenstein" (7 settembre 1940). Anche L'uomo invisibile (The Invisible Man, 1933), sempre di Whale, apparve a Venezia nel 1934 e uscì l'anno dopo con alcuni tagli alle scene della "carrozzetta del bambino rovesciata" e del "deragliamento del treno", oltre a quelle "che ridicolizzano la polizia".

L'horror della Paramount Il dottor Jekyll (Dr. Jekyll and Mr. Hyde, 1932), diretto da Rouben Mamoulian e con Fredric March nel ruolo di Jekyll/Hyde che gli valse l'Oscar, fu il primo film in assoluto presentato alla Mostra di Venezia, il 6 agosto 1932, nonché la prima pellicola straniera proibita nella Germania nazista. In Italia fu vietato ai minori di 16 anni, anche per la sensualità del personaggio della prostituta interpretato da Miriam Hopkins, principale innovazione della sceneggiatura rispetto al romanzo di Stevenson.

 

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