4.5 Pacifisti e sovversivi

I film stranieri degli anni '30 proibiti dal regime per ragioni puramente ideologiche sono naturalmente i più numerosi e i più citati. Ne fornisce un ampio elenco, tra gli altri, Mino Argentieri del quale riportiamo i casi più significativi: sono diversi i titoli notevoli, come vedremo, a livello sia produttivo che artistico.

Pacifisti

All'ovest niente di nuovo (All Quiet on the Western Front, 1930) di Lewis Milestone, grandiosa produzione Universal dal romanzo di Erich Maria Remarque premiata con due Oscar, e Addio alle armi (A Farewell to Arms, 1932) di Frank Borzage, due grandi classici del primo cinema sonoro ambientati durante la prima guerra mondiale, furono proibiti perché apertamente pacifisti.

Il primo, vietato anche in Germania (dove venne ferocemente contestato) e Austria, fu proibito in prima persona da Mussolini e osteggiato non solo dal fascismo (il figlio del Duce, Vittorio, definì "fesso integrale" il regista Milestone, sospettato di filo-comunismo) ma persino da Giulio Andreotti nel 1950, e ottenne una distribuzione solo nel 1956.

Addio alle armi della Paramount, con Gary Cooper, fu considerato disfattista perché metteva in scena la ritirata di Caporetto, tema rigorosamente bandito dal fascismo che proibì anche il romanzo di Hemingway da cui il film era tratto.

Un altro "classico" del pacifismo vietato anche dalla censura nazista fu Westfront (Westfront 1918, 1930), primo film sonoro di G. W. Pabst, uscito in Italia nel 1962; infine, Montagne in fiamme di Luis Trenker, 1931 (3.3 La censura politica), sempre sul primo conflitto mondiale, sarà sdoganato nel 1951.

"Russi"

Nel timore della propaganda comunista, le pellicole sovietiche, ovviamente, circolarono in numero ristrettissimo: tra i pochi titoli che i distributori osavano proporre alla censura, venivano approvati dopo un attento esame quelli ideologicamente innocui come, ad esempio, il documentario Celiuskin (1935) o la commedia Tutto il mondo ride/Ragazzi allegri (1936), di Grigori Aleksandrov.

Del resto, i film sovietici erano un vero e proprio incubo per Mussolini, che temeva in maniera particolare ogni possibile riferimento alla Rivoluzione russa del 1917, tanto da allarmarsi per la sola presenza del nome di un personaggio russo in un titolo. Dovette infatti essere tranquillizzato su film tutt'altro che "sovversivi" come l'italiano La principessa Tarakanova (1938, di Ozep e Soldati) o La contessa Alessandra (1938) con Marlene Dietrich.

Il Duce fu invece inflessibile nei confronti di un'opera di puro intrattenimento come il kolossal della MGM Rasputin e l'imperatrice (Rasputin and the Empress, 1932), di Richard Boleslawski (l'unico film interpretato da tutti e tre i fratelli Barrymore): l'ambientazione nella declinante Russia zarista costò il divieto al film, che troverà una distribuzione solo nel 1960.

Sovversivi

Diversi i film interdetti perché giudicati a vario titolo sovversivi. Lo scomodo "caso Dreyfus" è al centro del biografico della Warner Bros., premiato con tre Oscar, Emilio Zola (The Life of Emile Zola, 1937) di William Dieterle, con Paul Muni nel ruolo del celebre scrittore. Il film fu proibito anche in Francia, Germania e Spagna perché prendeva posizione contro l'antisemitismo (nonostante oggi il film venga ritenuto troppo "timido" proprio su questo punto), e sarà visibile solo alla Mostra di Venezia del 1946.

Giudicato sovversivo, a torto, anche il melodramma di G. W. Pabst Shangai (Le drame de Shangai, 1938), e inoltre Nozze di rivoluzione (Revolutionshochzeit, 1938), di Hans Zerlett, perché metteva in scena disordini stradali.

Un caso a parte, ancora di produzione Warner, è Verdi pascoli (The Green Pastures, 1936) di William Keighley, adattamento di una commedia del Premio Pulitzer Marc Connelly: il suo fantasioso Paradiso felicemente popolato solo da neri (Dio compreso) suscitò le critiche di alcuni cardinali italiani, e il film venne vietato anche in altri Stati con evidenti motivazioni razziste.

 

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